Ricorso del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  (c.f.  n.
80188230587), rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato (c.f. n. 80224030587) presso cui e' domiciliato  in  Roma,  via
dei  Portoghesi  n.  12  (ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it  -   fax
06/96514000); 
    Contro Provincia autonoma di Trento in persona del Presidente pro
tempore della Giunta provinciale; 
    Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge
provinciale della Provincia autonoma di Trento 3 luglio 2020,  n.  4,
pubblicata nel Bollettino  Ufficiale  Trentino-Alto  Adige  3  luglio
2020, n. 27, Numero straordinario n. 11 relativamente  alle  seguenti
disposizioni: art. 1 (delibera  del  Consiglio  dei  ministri  del  7
agosto 2020). 
    L'art. 31 del decreto-legge  nn.  201/2011,  conv.  in  legge  n.
214/2011, dispone: «1. In materia di esercizi  commerciali,  all'art.
3, comma 1, lettera d-bis, del decreto-legge 4 luglio 2006,  n.  223,
convertito, con modificazioni, dalla legge 4  agosto  2006,  n.  248,
sono soppresse le parole: «in via  sperimentale»  e  dopo  le  parole
«dell'esercizio» sono  soppresse  le  seguenti  «ubicato  nei  comuni
inclusi negli elenchi regionali delle localita' turistiche  o  citta'
d'arte». 
    2. Secondo la  disciplina  dell'Unione  europea  e  nazionale  in
materia di concorrenza, liberta' di stabilimento e libera prestazione
di servizi, costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale
la liberta' di apertura di nuovi esercizi commerciali sul  territorio
senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli  di  qualsiasi
altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della  salute,  dei
lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei  beni
culturali. Le regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti
alle prescrizioni del presente comma entro 90 giorni  dalla  data  di
entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.» 
    Di conseguenza, il testo attuale dell'art.  3,  decreto-legge  n.
223/2006 e' il seguente: 
    «3.  Regole  di  tutela  della  concorrenza  nel  settore   della
distribuzione commerciale. 
    1. Ai sensi delle disposizioni  dell'ordinamento  comunitario  in
materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci
e dei servizi ed al fine di  garantire  la  liberta'  di  concorrenza
secondo condizioni di pari opportunita' ed il  corretto  ed  uniforme
funzionamento del  mercato,  nonche'  di  assicurare  ai  consumatori
finali un livello minimo ed uniforme, di condizioni di accessibilita'
all'acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, ai sensi
dell'art. 117, comma secondo, lettere e) ed m),  della  Costituzione,
le attivita' commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31
marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande, sono
svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni: 
        a) l'iscrizione a  registri  abilitanti  ovvero  possesso  di
requisiti  professionali  soggettivi  per  l'esercizio  di  attivita'
commerciali, fatti salvi quelli riguardanti il settore  alimentare  e
della somministrazione degli alimenti e delle bevande; 
        b) il rispetto di distanze minime obbligatorie tra  attivita'
commerciali appartenenti alla medesima tipologia di esercizio; 
        c) le limitazioni quantitative all'assortimento  merceologico
offerto negli esercizi commerciali, fatta salva  la  distinzione  tra
settore alimentare e non alimentare; 
        d)  il  rispetto  di  limiti  riferiti  a  quote  di  mercato
predefinite  o  calcolate  sul  volume  delle   vendite   a   livello
territoriale sub regionale; 
        d-bis) il rispetto degli orari di  apertura  e  di  chiusura,
l'obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonche'  quello  della
mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell'esercizio; 
        e)  la  fissazione   di   divieti   ad   effettuare   vendite
promozionali,  a  meno  che  non   siano   prescritti   dal   diritto
comunitario; 
        f)  l'ottenimento   di   autorizzazioni   preventive   e   le
limitazioni di ordine temporale o quantitativo  allo  svolgimento  di
vendite  promozionali  di  prodotti,  effettuate  all'interno   degli
esercizi  commerciali,  tranne   che   nei   periodi   immediatamente
precedenti i saldi di fine stagione per i medesimi prodotti; 
        f-bis)  il  divieto   o   l'ottenimento   di   autorizzazioni
preventive per il  consumo  immediato  dei  prodotti  di  gastronomia
presso l'esercizio di vicinato, utilizzando i  locali  e  gli  arredi
dell'azienda   con   l'esclusione   del   servizio    assistito    di
somministrazione    e    con    l'osservanza    delle    prescrizioni
igienico-sanitarie. 
    2. Sono fatte salve le disposizioni che disciplinano  le  vendite
sottocosto e i saldi di fine stagione. 
    3. A decorrere dalla data  di  entrata  in  vigore  del  presente
decreto sono abrogate le  disposizioni  legislative  e  regolamentari
statali di disciplina del  settore  della  distribuzione  commerciale
incompatibili con le disposizioni di cui al comma 1. 
    4. Le regioni e gli enti locali adeguano le proprie  disposizioni
legislative e regolamentari ai principi e alle disposizioni di cui al
comma 1 entro il 1° gennaio 2007.» 
    L'art. 1, commi 1, 2, 4 del  decreto-legge  n.  1/2012  conv.  in
legge n. 27/2012 ha poi previsto: 
    «1. Fermo restando quanto previsto dall'art. 3 del  decreto-legge
13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14
settembre 2011, n. 148, in attuazione del principio  di  liberta'  di
iniziativa economica sancito dall'art. 41 della  Costituzione  e  del
principio di concorrenza sancito dal  Trattato  dell'Unione  europea,
sono abrogate, dalla data di entrata in vigore dei decreti di cui  al
comma 3 del presente articolo e secondo le  previsioni  del  presente
articolo: 
        a) le norme che prevedono  limiti  numerici,  autorizzazioni,
licenze, nulla osta o preventivi atti di assenso dell'amministrazione
comunque  denominati  per  l'avvio  di  un'attivita'  economica   non
giustificati da un interesse generale, costituzionalmente rilevante e
compatibile con l'ordinamento comunitario nel rispetto del  principio
di proporzionalita'; 
        b) le norme che pongono divieti e restrizioni alle  attivita'
economiche non adeguati o non proporzionati alle finalita'  pubbliche
perseguite,   nonche'   le   disposizioni   di    pianificazione    e
programmazione territoriale o temporale autoritativa  con  prevalente
finalita' economica o prevalente  contenuto  economico,  che  pongono
limiti, programmi e controlli non ragionevoli,  ovvero  non  adeguati
ovvero non proporzionati rispetto alle finalita' pubbliche dichiarate
e che in particolare impediscono, condizionano o ritardano l'avvio di
nuove attivita' economiche o l'ingresso di nuovi operatori  economici
ponendo un trattamento differenziato  rispetto  agli  operatori  gia'
presenti sul mercato, operanti in  contesti  e  condizioni  analoghi,
ovvero impediscono, limitano o condizionano l'offerta di  prodotti  e
servizi al consumatore, nel tempo nello  spazio  o  nelle  modalita',
ovvero alterano le condizioni di piena concorrenza fra gli  operatori
economici oppure limitano o condizionano le  tutele  dei  consumatori
nei loro confronti. 
    2.  Le  disposizioni  recanti  divieti,  restrizioni,   oneri   o
condizioni all'accesso ed all'esercizio  delle  attivita'  economiche
sono in ogni caso  interpretate  ed  applicate  in  senso  tassativo,
restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite finalita'
di  interesse  pubblico   generale,   alla   stregua   dei   principi
costituzionali per i quali l'iniziativa economica privata  e'  libera
secondo condizioni di piena concorrenza e pari opportunita' tra tutti
i soggetti, presenti e futuri, ed ammette solo i limiti, i  programmi
e i controlli necessari  ad  evitare  possibili  danni  alla  salute,
all'ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale, alla
sicurezza, alla liberta', alla dignita' umana e  possibili  contrasti
con  l'utilita'  sociale,  con  l'ordine  pubblico,  con  il  sistema
tributario e con gli  obblighi  comunitari  ed  internazionali  della
Repubblica. 
    4. I comuni, le province, le citta' metropolitane e le regioni si
adeguano ai principi e alle regole di cui ai commi 1, 2 e 3 entro  il
31 dicembre 2012, fermi restando i poteri sostitutivi dello Stato  ai
sensi dell'art. 120 della Costituzione. A decorrere  dall'anno  2013,
il predetto adeguamento costituisce  elemento  di  valutazione  della
virtuosita' degli stessi enti ai sensi dell'art.  20,  comma  3,  del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. A  tal  fine  la  Presidenza  del
Consiglio dei ministri, nell'ambito dei compiti di  cui  all'art.  4,
comunica, entro il termine perentorio del 31 gennaio di ciascun anno,
al Ministero  dell'economia  e  delle  finanze  gli  enti  che  hanno
provveduto all'applicazione delle  procedure  previste  dal  presente
articolo. In caso di mancata comunicazione entro il termine di cui al
periodo precedente, si prescinde dal predetto elemento di valutazione
della virtuosita'. Le  Regioni  a  statuto  speciale  e  le  Province
autonome di Trento e Bolzano  procedono  all'adeguamento  secondo  le
previsioni dei rispettivi statuti.» 
    Come emerge dalla vicenda normativa statale appena riportata,  il
legislatore statale con il decreto-legge n. 201/2011 conv.  in  legge
n. 214/2011 ha ritenuto che l'eliminazione definitiva di  vincoli  di
apertura oraria e di obblighi di chiusura domenicale e festiva  degli
esercizi di vendita al dettaglio, prevista in via sperimentale con il
decreto-legge n. 223/2006 (come integrato dall'art. 35, decreto-legge
n. 98/2011, che aveva introdotto l'originaria  lettera  «d  bis»  che
prevedeva la rimozione dei vincoli solo in via sperimentale), potesse
costituire, in base all'esperienza  verificata  nell'applicazione  di
tale normativa, una misura idonea  ad  ampliare  la  concorrenza  nel
commercio al dettaglio, e ad imprimere  cosi'  maggiore  sviluppo  ed
efficienza a tale settore economico. 
    In questo contesto si inserisce l'art. 1 della legge  provinciale
trentina n. 4/2020, qui impugnato. 
    Le disposizioni in esso contenute (comprese  le  integrazioni  al
comma 6 e l'aggiunta del comma 6-bis operate con la legge provinciale
6 agosto 2020, n. 6, evidenziate in neretto) prevedono: 
    «1.   Per   favorire   la   conservazione   delle    peculiarita'
socio-culturali e paesaggistico-ambientali, gli esercizi  di  vendita
al dettaglio osservano la chiusura domenicale e festiva, fatto  salvo
quanto previsto  da  quest'articolo  in  relazione  all'attrattivita'
turistica  dei  territori  e  a   garanzia   del   pluralismo   nella
concorrenza. 
    2. La Giunta provinciale individua con  propria  deliberazione  i
comuni   ad   elevata   intensita'    turistica    o    attrattivita'
commerciale/turistica nei quali e' ammessa l'apertura degli  esercizi
di vendita al dettaglio anche nelle giornate domenicali e festive. La
deliberazione puo' individuare i periodi di apertura degli  esercizi,
con riferimento alla vocazione turistica dei territori, o  specifiche
aree dei territori comunali in  cui  si  limita  la  possibilita'  di
apertura, sempre nel rispetto degli obiettivi del comma 1. 
    3.  La  Giunta  provinciale  entro  il  31  ottobre  2020,  quale
modalita' ordinaria, modifica o integra la deliberazione prevista dal
comma 2 acquisendo preventivamente  il  parere  del  Consiglio  delle
autonomie locali, delle associazioni dei consumatori  riconosciute  a
livello locale, delle associazioni datoriali del  commercio  e  delle
associazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello locale. 
    4. In occasione di grandi eventi o manifestazioni che  richiamano
un notevole afflusso di persone i comuni possono derogare all'obbligo
di chiusura domenicale e festiva per un massimo di diciotto  giornate
annue.  I  comuni  acquisiscono  il  parere  delle  associazioni  dei
consumatori  riconosciute  a  livello  locale,   delle   associazioni
datoriali del commercio e delle organizzazioni sindacali maggiormente
rappresentative a livello locale in  ordine  alla  programmazione  di
queste deroghe. 
    5. Quest'articolo non si applica a: 
        a) i soggetti e le attivita' indicati dagli articoli 2 e  27,
comma 2, della  legge  provinciale  30  luglio  2010,  n.  17  (legge
provinciale sul commercio 2010); 
        b) gli esercizi commerciali interni ai campeggi,  villaggi  e
complessi  turistici  e  alberghieri  che   effettuano   la   vendita
esclusivamente a favore delle persone alloggiate; 
        c) gli esercizi di vendita al dettaglio situati nelle aree di
servizio  lungo  le  autostrade,  nelle  stazioni   ferroviarie,   di
autolinee e aeroportuali; 
        d) gli impianti di distribuzione automatica di carburante; 
        e)  le   ulteriori   attivita'   individuate   dalla   Giunta
provinciale. 
    6. La violazione di quest'articolo  e'  punita  con  la  sanzione
amministrativa del pagamento di una somma  da  200  a  1.200  euro  e
contestualmente  con  la  sanzione  amministrativa  accessoria  della
sospensione dell'attivita' per un periodo da uno a sette  giorni;  in
caso  di  recidiva  la  sanzione  accessoria  e'   raddoppiata.   Per
l'applicazione delle sanzioni si osserva la legge 24  novembre  1981,
n.    689    (Modifiche    al    sistema     penale);     l'emissione
dell'ordinanza-ingiunzione o dell'ordinanza di archiviazione  di  cui
all'art. 18 della legge n. 689  del  1981  nonche'  l'adozione  della
sanzione    amministrativa    accessoria    spettano    al     comune
territorialmente competente. Le somme riscosse  ai  sensi  di  questo
comma sono introitate nel bilancio del comune competente. 
    6-bis. In prima applicazione per l'anno 2020,  i  comuni  possono
derogare all'obbligo di chiusura domenicale e festiva per un  massimo
di dodici giornate, previo parere delle associazioni dei  consumatori
riconosciute a  livello  locale,  delle  associazioni  datoriali  del
commercio   e    delle    organizzazioni    sindacali    maggiormente
rappresentative a livello locale in  ordine  alla  programmazione  di
queste deroghe. L'art. 1, comma 4, si  applica  a  decorrere  dal  1°
gennaio 2021». 
    Le disposizioni provinciali, come si vede, confermano nel comma 1
l'obbligo di chiusura domenicale e festiva, salvo le limitate deroghe
previste nel comma 5. Inoltre, la normativa provinciale nel  comma  2
subordina ad  una  delibera  della  giunta  provinciale  (in  effetti
adottata con provvedimento n. 891/2020) l'individuazione de «i comuni
ad elevata intensita' turistica o attrattivita' commerciale/turistica
nei  quali  e'  ammessa  l'apertura  degli  esercizi  di  vendita  al
dettaglio anche nelle giornate domenicali e festive. La deliberazione
puo' individuare i periodi di apertura degli esercizi». Il  comma  4,
infine,  autorizza  i  comuni  a  derogare  all'obbligo  di  chiusura
domenicale e festiva, per non  oltre  diciotto  giornate  annue,  «in
occasione  di  grandi  eventi  o  manifestazioni  che  richiamano  un
notevole afflusso di persone». 
    Appare  evidente  il  contrasto   della   normativa   provinciale
impugnata con  i  principi  fissati  dalla  nuova  normativa  statale
riportata all'inizio. 
    Gli interventi statali  abolitivi  dei  limiti  orari  e  festivi
all'apertura  degli  esercizi  di  vendita  al  dettaglio  tendono  a
realizzare,  per  espressa  dichiarazione  dell'art.  31,  comma   2,
decreto-legge n. 201/2011 e dell'art. 3  comma  1,  decreto-legge  n.
223/2006,  migliori  condizioni  di   competitivita'   del   settore,
accrescendo le possibilita' dei consumatori di  accedere  ai  servizi
commerciali al dettaglio  e  rimuovendo  le  disparita'  territoriali
(spesso  a  base  microcomunale)  che  determinano  notorie  e  gravi
distorsioni nella concorrenza del settore, tanto dal punto  di  vista
dello svolgimento in atto dei servizi commerciali, quanto  dal  punto
di vista dell'insediamento dei nuovi esercizi di vendita. 
    Le norme statali in materia di rimozione delle limitazioni orarie
e festive al commercio al dettaglio  costituiscono  quindi  esercizio
della  competenza  statale  esclusiva  in  materia  di  tutela  della
concorrenza (art. 117, comma 2, lettera e) della  Costituzione),  che
la Provincia ha violato dettando disposizioni che  si  contrappongono
alla  liberalizzazione  assoluta  voluta  dalla   legge   statale   e
reintroducono, invece, un  regime  limitativo  caratterizzato  da  un
divieto  generale  di  apertura  festiva,  e  dall'attribuzione  alla
pubblica amministrazione (Giunta provinciale nel caso  del  comma  2;
comuni nel caso del comma 4) della possibilita' di consentire deroghe
in ipotesi particolari. 
    Come si vedra', la materia della concorrenza e' «trasversale»,  e
supera, quindi, le competenze  settoriali  in  materia  di  commercio
spettanti alle regioni e province autonome. 
    Fermo  quanto  ora  osservato,  nel  disporre  nel  senso   sopra
indicato, chiaramente incompatibile con l'attuale disciplina statale,
la Provincia di Trento ha comunque violato altresi' gli  articoli  4,
5, 9 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, di cui al dpr
n. 670/72. 
    L'art. 9 dello statuto attribuisce infatti alle province autonome
la competenza legislativa in materia  di  commercio  (n.  3),  ma  in
regime  di  competenza  legislativa  concorrente:  l'art.  9  prevede
infatti che tale  competenza  sia  esercitata  «nei  limiti  indicati
dall'art. 5», che a sua volta richiama  (rinviando  all'art.  4)  «la
Costituzione  e   i   principi   dell'ordinamento   giuridico   della
Repubblica» e prevede, come propria specifica previsione, l'ulteriore
limite costituito dai «principi stabiliti dalle  leggi  dello  Stato»
(donde il carattere concorrente  della  legislazione  provinciale  in
materia di commercio). 
    A conclusione non diversa si perviene anche se, applicando l'art.
10 della legge costituzionale n. 3/2001, che estende alle  regioni  e
province ad autonomia speciale le norme  del  nuovo  Titolo  V  della
Costituzione qualora queste prevedano «forme di autonomia piu'  ampie
rispetto a quelle gia' attribuite», si ascrive ora la disciplina  del
commercio alla competenza legislativa regionale  residuale,  ex  art.
117, comma 4 della Costituzione. 
    Anche la competenza residuale va infatti esercitata nel  rispetto
delle competenze legislative esclusive dello Stato, e  comunque  ogni
competenza legislativa  provinciale,  in  forza  del  rinvio  operato
all'art. 4 statuto dagli articoli 8 e 9 dello  statuto  stesso,  deve
essere esercitata in armonia  con  la  Costituzione,  e  dunque,  per
quanto qui rileva, con l'art. 117, comma 2, lettera e). 
    Il  tema  dei  rapporti  tra  disciplina  della   concorrenza   e
disciplina dell'apertura oraria e festiva degli esercizi  di  vendita
al dettaglio ha formato oggetto di una analisi attenta  ed  evolutiva
nella giurisprudenza di codesta Corte. 
    Tale analisi ha trovato un approdo fondamentale nella sentenza n.
150/2011, ove codesta Corte ha affermato quanto segue: «la disciplina
degli  orari  degli  esercizi  commerciali  rientra   nella   materia
«commercio» (sentenze n.  288  del  2010  e  n.  350  del  2008),  di
competenza esclusiva residuale delle regioni,  ai  sensi  del  quarto
comma dell'art. 117 Cost., e «il decreto legislativo 31  marzo  1998,
n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a
norma dell'art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), [...],
si applica, ai sensi dell'art. 1, comma 2, della legge 5 giugno 2003,
n.  131  (Disposizioni  per  l'adeguamento   dell'ordinamento   della
Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), soltanto
alle regioni che non abbiano emanato una propria  legislazione  nella
suddetta materia» (sentenze n. 288 e n. 247 del  2010,  ordinanza  n.
199 del 2006). 
    Si e' anche evidenziato  che  l'ascrivibilita'  della  disciplina
degli orari degli esercizi commerciali alla materia «commercio» trova
ulteriore  conferma,  a  contrario,  nell'art.  3,   comma   1,   del
decreto-legge n. 223 del 2006. 
    Tale ultima norma, infatti, «nel  dettare  le  regole  di  tutela
della concorrenza nel settore della distribuzione  commerciale  -  al
fine di garantire condizioni di pari opportunita' ed il  corretto  ed
uniforme  funzionamento  del  mercato,  nonche'  di   assicurare   ai
consumatori finali un livello minimo ed  uniforme  di  condizioni  di
accessibilita' all'acquisto di  prodotti  e  servizi  sul  territorio
nazionale -  non  ricomprende  la  disciplina  degli  orari  e  della
chiusura domenicale o festiva nell'elenco degli ambiti normativi  per
i  quali  espressamente  esclude  che  lo  svolgimento  di  attivita'
commerciali possa incontrare limiti e prescrizioni» (sentenza n.  288
del 2010). 
    Tuttavia, anche se la disciplina in esame e'  riconducibile  alla
materia «commercio», di competenza regionale, e' comunque  necessario
valutare se la stessa, nel suo contenuto, determini o meno un  vulnus
alla  tutela  della  concorrenza,  tenendo  presente  che  e'   stata
riconosciuta la possibilita', per le  regioni,  nell'esercizio  della
potesta' legislativa nei loro settori di competenza, di dettare norme
che, indirettamente, producano effetti pro-concorrenziali. 
    Infatti la materia «tutela della concorrenza»,  di  cui  all'art.
117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, non  ha  solo  un
ambito  oggettivamente  individuabile   che   attiene   alle   misure
legislative di tutela in senso proprio, quali ad esempio  quelle  che
hanno ad oggetto  gli  atti  e  i  comportamenti  delle  imprese  che
incidono negativamente sull'assetto concorrenziale dei mercati  e  ne
disciplinano le modalita' di controllo, ma,  dato  il  suo  carattere
«finalistico», anche una portata piu'  generale  e  trasversale,  non
preventivamente delimitabile, che deve essere valutata in concreto al
momento dell'esercizio della potesta' legislativa sia dello Stato che
delle regioni nelle materie di loro rispettiva competenza. 
    Nel  caso  di  specie,  la  normativa   regionale   sull'apertura
domenicale e festiva degli esercizi commerciali  per  la  vendita  al
dettaglio non solo persegue il  medesimo  obiettivo  di  apertura  al
mercato e di eliminazione di barriere e vincoli al libero  esplicarsi
dell'attivita' economica che ha ispirato il  decreto  legislativo  n.
114 del 1998, ma ne amplia la portata  liberalizzatrice,  aumentando,
rispetto a quanto prevede l'art. 11 di tale  decreto,  il  numero  di
giornate in  cui  e'  consentita  l'apertura  domenicale  e  festiva,
contribuendo, quindi, ad estendere l'area di libera  scelta  sia  dei
consumatori che delle imprese. 
    In conclusione, la Regione Abruzzo, con le  norme  impugnate,  ha
esercitato la propria competenza in materia  di  commercio,  dettando
una normativa che non solo non si pone in contrasto con gli obiettivi
delle  norme  statali  che  disciplinano  il  mercato,   tutelano   e
promuovono   la   concorrenza,   ma   che   produce   anche   effetti
pro-concorrenziali, sia pure in via marginale e indiretta». 
    L'impatto pro concorrenziale dell'abolizione delle limitazioni di
apertura degli esercizi pubblici di vendita al dettaglio e' quindi un
dato ormai acquisito alla giurisprudenza  costituzionale,  tanto  che
rende  inattingibili  dal   legislatore   statale   eventuali   leggi
liberalizzatrici introdotte dalle regioni. 
    Cio' comporta, a maggior ragione, che sussista  ormai  il  titolo
del legislatore statale di intervenire sulla  materia,  quante  volte
ravvisi   la   necessita'   di   rimuovere   pregiudizi   all'assetto
concorrenziale del mercato che derivano direttamente e immediatamente
da quelle limitazioni. 
    Ora, e' dato pacifico, come gia' detto, che la  molteplicita'  di
discipline locali delle limitazioni orarie  e  festive  dell'apertura
degli esercizi di vendita al dettaglio, spesso diversissime a  minima
distanza (nel caso p. es. di comuni di piccola estensione),  distorce
la concorrenza sia nell'erogazione  dei  servizi  in  questione,  sia
nella localizzazione delle nuove imprese di vendita.  Cio'  danneggia
l'utenza e compromette l'efficienza concorrenziale del  settore,  che
deve   scontare   barriere    amministrative    economicamente    non
giustificate. 
    In  questo  contesto,  non  puo'  esservi  dubbio   sull'avvenuta
traslazione della materia delle limitazioni orarie e  festive,  nella
dimensione della rimozione  delle  stesse,  alla  competenza  statale
esclusiva ex art. 117, comma 2, lettera e) della Costituzione. 
    Cio', naturalmente, non significa  che  le  regioni  non  possano
legiferare nella materia, che come ha ribadito il  citato  precedente
di codesta Corte rientra anche nella materia  residuale  «commercio».
Tuttavia, l'indubbia insorgenza del titolo esclusivo statale preclude
interventi normativi regionali che abbiano per oggetto o per  effetto
la vanificazione della disciplina statale liberalizzatrice. 
    Le regioni, in  definitiva,  possono  intervenire  nella  materia
delle (rimosse)  limitazione  festive  e  orarie  nel  senso  di  far
emergere  le  esigenze  specificamente  «commerciali»,  e  come  tali
riconducibili alla  suddetta  competenza  residuale,  che  potrebbero
giustificare ancora talune ipotesi limitative. Ma e' evidente che  in
questo contesto la legislazione  regionale  consentita  deve  muovere
dalla chiara e specifica indicazione gia' nella legge  delle  ragioni
giustificatrici    delle    limitazioni,    deve    escludere    ogni
discrezionalita'  amministrativa  nel   gestire   le   procedure   di
introduzione delle limitazioni, deve prevedere la temporaneita' delle
limitazioni e la loro cessazione al termine del  periodo  prescritto,
che dara' ingresso ad un nuovo esame della possibilita' di introdurle
ancora  o  di  modificarle.  Solo  in  questo  modo,  la   competenza
legislativa regionale potra' esplicarsi in  questa  materia  in  modo
coordinato con il principio  di  tutela  della  concorrenza  espresso
dall'abolizione delle limitazioni da parte della legge statale. 
    Previsioni come quelle impugnate, che da  un  lato  reintroducono
stringenti e rigidi limiti di apertura, e dall'altro  rimettono  alla
non delimitata discrezionalita' delle amministrazioni  provinciale  e
locali le deroghe a tali limiti, per giunta senza  prevedere  termini
temporali di efficacia della normativa  cosi'  introdotta,  producono
invece l'effetto diretto di conservare la causa  di  distorsione  del
mercato insita nelle limitazioni cosi' connotate, che il  legislatore
statale ha inteso superare. 
    Interventi del tipo di quelli operati  dall'art.  1  della  legge
regionale qui impugnata,  per  le  ragioni  ora  illustrate  invadono
quindi l'ambito di intervento che nella materia  si  e'  aperto  alla
legislazione  statale  di  tutela  della   concorrenza,   e   violano
palesemente l'art. 117, comma 2, lettera e) della Cost., oltre che  i
gia' richiamati parametri statutari  e  l'art.  117,  comma  4  della
Costituzione. 
    Proseguendo nell'analisi della giurisprudenza di  codesta  Corte,
va ricordata la sentenza  n.  299/2012,  secondo  cui  «dalla  natura
trasversale della competenza esclusiva  dello  Stato  in  materia  di
tutela della concorrenza deriva che  il  titolo  competenziale  delle
regioni a statuto speciale in materia di commercio non e'  idoneo  ad
impedire il pieno esercizio della suddetta competenza statale  e  che
la disciplina statale della concorrenza costituisce  un  limite  alla
disciplina che le medesime regioni possono adottare in altre  materie
di loro competenza». 
    La riconduzione  della  materia  delle  aperture  degli  esercizi
commerciali alla materia statale della disciplina  della  concorrenza
e' stata motivata da codesta Corte, in particolare, con la necessita'
di dare al settore una disciplina territorialmente unitaria, in  modo
da prevenire le distorsioni che regimi differenziati, anche in ambiti
territoriali molto vicini, determinano. 
    Si  legge  nella  sentenza  n.  8/2013:  «affinche'   l'obiettivo
perseguito dal legislatore possa  ottenere  gli  effetti  sperati  in
termini  di   snellimento   degli   oneri   gravanti   sull'esercizio
dell'iniziativa   economica,   l'azione   di   tutte   le   pubbliche
amministrazioni  -  centrali  regionali  e  locali  -   deve   essere
improntata  ai  medesimi  principi,  per  evitare  che   le   riforme
introdotte ad un determinato livello di  governo  siano,  nel  fatti,
vanificate dal  diverso  orientamento  dell'uno  o  dell'altro  degli
ulteriori enti che compongono l'articolato sistema  delle  autonomie.
Quest'ultimo, infatti, risponde ad una logica che esige  il  concorso
di tutti gli enti territoriali all'attuazione dei principi di  simili
riforme. A titolo esemplificativo, si puo' rammentare che persino gli
statuti di autonomia speciale prevedono  che  le  norme  fondamentali
delle riforme economico-sociali costituiscono vincoli  ai  rispettivi
legislatori regionali e provinciali, che sono  tenuti  ad  osservarle
nell'esercizio di ogni tipo di competenza  ad  essi  attribuita.  Per
queste ragioni, il  principio  di  liberalizzazione  delle  attivita'
economiche - adeguatamente temperato  dalle  esigenze  dl  tutela  di
altri beni di valore costituzionale - si  rivolge  tanto  al  governo
centrale, quanto a comuni province, Citta' metropolitane  e  regioni,
perche' solo con la  convergenza  dell'azione  di  tutti  i  soggetti
pubblici esso puo' conseguire risultati apprezzabili». 
    Su questa base, e' costante la  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale di normative regionali simili a quella qui in esame. 
    La sentenza 15 marzo 2013 n. 38, ha dichiarato la  illegittimita'
costituzionale dell'art. 5 della  legge  provinciale  di  Bolzano  n.
7/2012,  in  ragione  del  fatto  che  la  disposizione  provinciale,
«autorizzando la Giunta ad emanare appositi indirizzi in  materia  di
orari di apertura al pubblico degli esercizi di vendita al dettaglio,
si presta a  reintrodurre  limiti  e  vincoli  in  contrasto  con  la
normativa statale di liberalizzazione, cosi'  invadendo  la  potesta'
legislativa  esclusiva  dello  Stato  in  materia  di  tutela   della
concorrenza e violando, quindi, l'art 117, secondo comma, lettera e),
Costituzione». La Corte  ha  aggiunto,  inoltre,  che  «nel  caso  di
specie, il vulnus al  menzionato  parametro  costituzionale  e'  gia'
insito  nell'attribuzione  alla  Giunta  provinciale  del  potere  di
assumere "appositi indirizzi" in  materia  devoluta  alla  competenza
legislativa esclusiva dello Stato. 
    Ancora, la sentenza 12  aprile  2013,  n.  65  ha  dichiarato  la
illegittimita'  costituzionale  dell'art.  3  della  legge  regionale
Veneto n. 30/2011 poiche'  tale  disposizione  «detta  una  serie  di
rilevanti limitazioni e restrizioni degli orari e delle  giornate  di
apertura e di chiusura al pubblico delle attivita'  di  commercio  al
dettaglio» che si pongono in contrasto con la disciplina  statale  in
materia di orari e giornate di apertura  e  chiusura  degli  esercizi
commerciali e, in particolare, con l'art. 3, legge n. 248/2006,  come
novellato dall'art. 31, legge n. 214/2011. 
    Nella sentenza 11 novembre 2016, n. 239 la  Corte  ha  dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  anche  dell'art.  9   della   legge
regionale Puglia n. 24/2015 e, in questa occasione la Corte e'  stata
ferma nel ribadire che «la legislazione statale vigente e' perentoria
nell'affermare che l'attivita' commerciale e' esercitata senza limiti
e prescrizioni concernenti gli orari. Il divieto  previsto  riguarda,
pertanto, ogni forma di regolazione, diretta o indiretta, degli orari
di esercizio: sia quelle prescritte per  via  normativa,  sia  quelle
frutto di accordi tra operatori economici». 
    In questo senso, le disposizioni regionali/provinciali limitative
della liberta' di apertura  degli  esercizi  commerciali  sono  state
dichiarate  «in  contrasto  con  il  perentorio  e  assoluto  divieto
contenuto nella descritta legislazione statale» e,  in  quanto  tali,
idonee a «determinare un vulnus dell'art. 117, secondo comma, lettera
e) della Cost.» 
    Per l'effetto, «nel  vigore  del  divieto  di  imporre  limiti  e
prescrizioni sugli orari, stabilito dallo Stato nell'esercizio  della
sua competenza esclusiva a tutela della  concorrenza,  la  disciplina
regionale che intervenga per attenuare il divieto risulta illegittima
sotto  il  profilo  della  violazione  del  riparto  di   competenze»
(sentenza n. 239/2016 cit.). 
    Discende da quanto ora illustrato l'illegittimita' costituzionale
del comma 1 dell'art. 1, che si contrappone frontalmente al principio
di  liberalizzazione  dei  giorni  e  degli  orari  di  apertura,   e
reintroduce come principio l'opposto divieto di apertura domenicale e
festiva, rimettendo poi ad  un  complesso  sistema  di  provvedimenti
amministrativi discrezionali l'introduzione di eventuali  deroghe  al
divieto stesso. 
    La norma in esame non si  sottrae  a  censura  per  il  fatto  di
enunciare come propria finalita' la conservazione delle  peculiarita'
socio-culturali e paesaggistico-ambientali: si  tratta  di  finalita'
del tutto generiche, di  cui  non  e'  percepibile  il  rapporto  con
l'apertura o meno degli esercizi commerciali nei giorni domenicali  e
festivi. Non e' chiaro, in particolare, perche' solo  nel  territorio
provinciale trentino sussisterebbero «peculiarita'» socio-culturali e
paesaggistico-ambientali  tali  da  consentire   di   vanificare   la
normativa statale di liberalizzazione; ne' in  qual  modo  l'apertura
domenicale e festiva degli esercizi commerciali  comprometterebbe  (e
in modo cosi' irrimediabile da giustificare un divieto generalizzato)
tali pretese peculiarita'. 
    Oltre  che  generica,  l'enunciazione  di   tali   finalita'   e'
contraddittoria  con  le  disposizioni   che   seguono.   Nei   commi
successivi, come si e' visto, e in particolare nei commi 2  e  4,  si
prevedono infatti poteri  amministrativi  di  deroga  all'obbligo  di
chiusura proprio in correlazione con l'elevata  intensita'  turistica
di taluni comuni, o con lo svolgimento  di  eventi  o  manifestazioni
atti a richiamare notevole afflusso di persone. Ora, proprio i comuni
di  maggiore  interesse  turistico  sono  quelli  il  cui  territorio
presenta il maggiore  interesse  paesaggistico  e  ambientale;  e  le
manifestazioni atte ad attrarre notevole  afflusso  di  persone  sono
spesso legate a usanze sociali e culturali  proprie  del  territorio.
Tali valori, che la stessa legge provinciale nei commi 2 e 4  pone  a
base  dei  provvedimenti  che  consentono  l'apertura  domenicale   e
festiva,  non  possono   quindi,   nel   comma   1,   costituire   la
giustificazione generale del divieto di tali aperture. 
    Dall'illegittimita'  costituzionale  del  comma  1   deriva   poi
l'illegittimita' costituzionale di tutti gli altri commi dell'art. 1.
Il comma 2 (e il comma 3, che si limita  a  prevedere  l'integrazione
successiva della delibera della Giunta provinciale prevista nel comma
2), attribuendo alla Giunta il  potere  di  derogare  al  divieto  di
apertura con l'individuare i comuni di  elevato  interesse  turistico
nei quali cio' giustifica l'apertura domenicale e festiva, e' infatti
meramente conseguenziale al divieto posto dal comma 1, e non  sarebbe
necessario se tale illegittimo divieto non fosse stato posto. 
    Le medesime considerazioni valgono,  ovviamente,  per  il  potere
derogatorio attribuito ai comuni dal comma 4  in  caso  di  eventi  e
manifestazioni; anche tale potere in tanto viene previsto  in  quanto
sussiste il divieto di cui al comma 1. 
    Il comma 5 diviene, a sua volta, superfluo. Prevedere  una  serie
di eccezioni al divieto di apertura domenicale e festiva non e'  piu'
necessario, qualora si ripristini il  principio  generale  di  libera
apertura domenicale e festiva. 
    Inoltre, il comma 5 prevede, con il  rinviare  all'art.  2  della
legge provinciale n. 17/2010, deroghe  di  portata  piuttosto  ampia,
come  mostra  la  semplice  lettura  dell'art.  2,  che  dichiara  di
applicarsi: 
        «a)  alle  farmacie,  se  vendono   esclusivamente   prodotti
farmaceutici, specialita' medicinali, dispositivi  medici  e  presidi
medico-chirurgici; 
        b) ai titolari  di  rivendite  di  generi  di  monopolio,  se
vendono esclusivamente generi di monopolio; 
        c) alle associazioni dei produttori ortofrutticoli costituite
ai sensi della legge 27  luglio  1967,  n.  622  (Organizzazione  del
mercato nel settore dei prodotti ortofrutticoli); 
        d)  ai  produttori  agricoli,  singoli   o   associati,   che
esercitano attivita' di  vendita  di  prodotti  agricoli  nei  limiti
previsti dall'art. 2135 del codice civile e dal  decreto  legislativo
18 maggio 2001, n. 228 (Orientamento e  modernizzazione  del  settore
agricolo, a norma dell'art. 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57); 
        e) fatto salvo quanto previsto dall'art.  7,  agli  artigiani
iscritti nell'apposito albo e agli industriali che vendono nei locali
di produzione o nei locali adiacenti beni di produzione propria o che
forniscono al committente beni accessori all'esecuzione delle opere o
alla prestazione dei servizi; a tal fine non sono considerati  locali
i mezzi mobili, come definiti dal regolamento di esecuzione; non sono
considerati beni di produzione propria, inoltre, quelli per  i  quali
l'artigiano o l'industriale  si  limita  a  operazioni  accessorie  o
marginali rispetto all'attivita' di produzione; 
        f) ai pescatori e alle cooperative di pescatori,  nonche'  ai
cacciatori,  singoli  o  associati,  che  vendono  al  pubblico,   al
dettaglio,  la  cacciagione   e   i   prodotti   ittici   provenienti
esclusivamente dall'esercizio della loro attivita'; 
        g) a coloro che esercitano la vendita dei  prodotti  da  essi
direttamente e legalmente raccolti su terreni soggetti a  usi  civici
nell'esercizio dei diritti di erbatico, di fungatico e simili; 
        h) a chi vende o espone  per  la  vendita  le  proprie  opere
d'arte, nonche' quelle dell'ingegno a carattere creativo, comprese le
proprie pubblicazioni di natura scientifica o informativa, realizzate
anche mediante supporto informatico; 
        i)  alla  vendita  dei   beni   del   fallimento   effettuata
esclusivamente nell'ambito delle procedure fallimentari; 
        j) agli enti pubblici oppure alle persone giuridiche  private
alle quali partecipano lo  Stato  o  enti  territoriali  che  vendono
pubblicazioni  o  altro  materiale  informativo,  anche  su  supporto
informatico, di propria o altrui elaborazione, concernenti  l'oggetto
della loro attivita'; 
        k) alle  attivita'  di  cessione  di  materiale  divulgativo,
educativo e propagandistico esercitate direttamente dalla  Provincia,
dagli enti parco provinciali e dagli  altri  enti  strumentali  della
provincia; 
        l)  alle  attivita'  di  cessione  di  prodotti  cosmetici  e
curativi esercitate all'interno di centri termali accreditati»; 
    e dell'art. 27 comma 2, che dichiara di applicarsi: 
        «a) alle rivendite di riviste e giornali, agli  esercizi  che
utilizzano unicamente le tabelle speciali previste dall'art. 19, alle
gelaterie,  rosticcerie,  pasticcerie,  agli  esercizi  specializzati
nella vendita di bevande o di pane e latte o di generi di gastronomia
di produzione locale, agli esercizi indicati nell'art. 61; 
        b)  alle  attivita'  di  vendita  concernenti   le   seguenti
tipologie di beni, se esercitate in forma specializzata: 
          1) mobili; 
          2) libri; 
          3) dischi, musicassette, videocassette,  supporti  audio  e
video in formato digitale; 
          4) opere d'arte, oggetti d'antiquariato, stampe; 
          5) cartoline, articoli da ricordo e artigianato locale; 
          6) fiori, piante e articoli da giardinaggio; 
          7) autoveicoli, cicli e motocicli; 
        c) alle attivita' di vendita e somministrazione di alimenti e
bevande su posteggi isolati concessi dai comuni su area pubblica.» 
    E' evidente come gli effetti distorsivi della concorrenza  a  cui
il principio di libera apertura intende porre rimedio siano aggravati
da questa disposizione, che prevede ampie deroghe di tipo  soggettivo
(art. 2) e di tipo oggettivo (art. 27, comma  2).  Non  si  comprende
perche' solo i commercianti (art. 2) o i commerci (art. 27, comma  2)
menzionati in tali disposizioni debbano essere privilegiati  rispetto
a tutti gli altri, anche se espressivi di forme di commercio  atte  a
soddisfare identiche esigenze dei consumatori. 
    A tutto quanto esposte consegue infine l'illegittimita'  derivata
dei commi 6 e 6-bis: il primo prevede le sanzioni per  la  violazione
del divieto costituzionalmente illegittimo  posto  dal  comma  1;  il
secondo (probabilmente per tenere conto in extremis delle conseguenze
economiche, soprattutto per il commercio al dettaglio, dell'emergenza
sanitaria  in  corso)  contiene  una  disposizione  transitoria   che
autorizza i comuni, senza neppure dettare criteri direttivi  di  tale
discrezionale decisione,  a  derogare  in  toto  al  divieto  di  cui
all'art. 1 per il primo anno di applicazione della  legge,  e  rinvia
l'applicazione del comma 4 al 1° gennaio 2021. 
    Anche queste disposizioni poggiano sul presupposto che l'apertura
domenicale e festiva sia vietata ai sensi del  comma  1,  laddove  il
dettato  costituzionale  sopra  illustrato  impone   che   essa   sia
consentita. 
    Al di la' della loro illegittimita' derivata da quella del  comma
1, i commi 2 (con il 3) e 4 sono poi autonomamente illegittimi.  Essi
prevedono  poteri  amministrativi  di  disciplina  dirigistica  della
concorrenza nel settore del commercio, come sono quelli provinciali e
comunali che si esprimono nelle delibere della giunta  e  dei  comuni
volte ad autorizzare l'apertura domenicale e  festiva  nei  casi  ivi
indicati. 
    Proprio in quanto configurano poteri amministrativi  direttamente
disciplinanti  la  concorrenza,  le  relative  norme  spettano   alla
competenza statale esclusiva ex art. 117, comma 2  lettera  e)  della
Cost., e non possono essere dettate dalla  Provincia,  esulando,  per
tutto quanto si e' esposto in premessa, dalla materia del commercio. 
    La genericita', o meglio assenza, di  criteri  legali  prescritti
all'esercizio di tali poteri  amministrativi,  che  si  pongono  come
assolutamente discrezionali (in particolare nell'individuare i comuni
ad  elevata  intensita'  turistica,  e  le  manifestazioni   atte   a
richiamare un elevato  numero  di  persone),  ne  comporta,  poi,  il
carattere potenzialmente e direttamente discriminatorio e  distorsivo
della  concorrenza,  dimostrandone  ancor  piu'  l'estraneita'   alla
materia del commercio e l'appartenenza alla materia «disciplina della
concorrenza».